1921
In quella vecchia viuzza che partendo da Borgo 5.5. Apostoli sbuca sul Lungarno
Acciaioli a pochi passi dal Ponte Vecchio, quella sera, faceva molto caldo.
La strada era buia, illuminata solamente da pochi fiochi lampioni a gas infissi,
abbastanza alti, nei muri delle case.
Erano circa le otto di sera e forse per l'ora, forse per il caldo, regnava
molto silenzio interrotto raramente da brevi e non forti rumori che uscivano
dalle finestre spalancate: qualche voce quieta e sommessa, il cigolio di una
persiana, il cozzare lieve di qualche piatto di una donna che sparecchia.
Era come se il silenzio calato in quello stretto vicolo di alte case fosse
ora da queste, serrato, imprigionato e tenuto a protezione di quella povera
gente che le abitava.
"Questa l'atmosfera e i luoghi della Firenze dove Mario Marè nacque
il 27 giugno 1921, come li ricordò nei suoi appunti e come li dipinse
durante la sua vita trascorsa altrove, soprattutto a Milano. A Firenze ritornò
spesso, ma il più delle volte senza poter disporre del tempo che avrebbe
desiderato per goderla.
"Non ho avuto tempo per te mia cara città -annoterà dopo uno
di questi ritorni frettolosi-. Però sei sempre bella, tanto bella,
insuperabilmente bella. E la tua bellezza è fine. Il che non è
da tutti."
Gli anni dell'infanzia sono connotati da incomunicabilità tra le famiglie
paterna e materna.
1929
La famiglia si stabilisce a Milano poco tempo dopo che il padre vi si
era trasferito per ragioni di lavoro.
Da quel momento Milano diventa la seconda patria di Marè, città
che amerà quanto Firenze, seppure in modo diverso.
Infatti molti anni dopo, al ritorno da un viaggio a Firenze, scriverà:
"E rieccomi a Milano. Firenze è bella, ma qui c'è la vita. Adoro
Firenze e amo Milano".
Inizia a disegnare e a dipingere come autodidatta.
Non molto tempo dopo il trasferimento la famiglia si divide: la madre torna
a Firenze, Mario rimane a Milano con il padre. Le vicende familiari lasceranno
un segno indelebile sul suo carattere: la sua indole allegra rimarrà
marcata per sempre da una vena di malinconia.
Continua a dipingere ma, per motivi economici, dopo il diploma in ragioneria
si impiega in banca.
1941 - 43
Combatte in Jugoslavia e poi in Africa settentrionale, dove rimane ferito.
Rimpatriato per cure, evita miracolosamente l'amputazione di un braccio.
Anche l'esperienza della guerra lascerà profondi segni, prima di tutto
inducendolo a un intransigente rifiuto della violenza.
A seguito delle ferite riportate viene congedato e riprende il suo impiego
in banca.
Si stabilisce a Pavia, dove ha occasione di Conoscere e frequentare Ada Negri.
1944
Si sposa a Milano con Maria Antonietta Pirovano, da cui avrà il figlio
Guido.
1947 - 48
Frequenta l'atelier del pittore Augusto Colombo per approfondire le tecniche
pittoriche e lo studio del ritratto. L'influenza pittorica del suo maestro
si manifesta in più di un'opera di questi anni.
1951
Dopo un primo periodo di attività pittorica, esercitata con mezzi tradizionali,
nell'intento di trovare una strada di rinnovamento anche tecnico si indirizza
verso lo studio dello smalto "a gran fuoco" su metallo. Rifacendosi agli antichi
maestri limosini, bizantini, toscani ecc. ne studia le tecniche fino a raggiungere.
un suo personale linguaggio e porta l'arte dello smalto, con procedimenti
da lui inventati, da espressione prevalentemente decorativa a vero e proprio
mezzo pittorico, dando luogo così a un'autentica innovazione nell'arte
della pittura.
1960
Constatata l'incompatibilità della professione di bancario con quella
di pittore, abbandona l'impiego per dedicarsi completamente all'arte.
1964
Personale alla Galleria Gavioli di Milano.
Collabora
con Augusto Colombo a lavori per l'Ospedale S. Anna di Como e traduce a smalto
una sua Via Crucis.
1965
Prende parte alla LXVI Mostra annuale d'arte al Palazzo della Permanente di
Milano.
Partecipa
al 100 Premio nazionale di pittura "Maschere e Carnevale" organizzato dalla
Bottega dei Vageri di Viareggio.
Partecipa alla III Biennale d'arte del metallo a Gubbio.
1966
Prende parte a numerose mostre, tra cui: III Mostra d'arte contemporanea al
Palazzo Reale di Milano; Mostra di pittura Città di Mortara; Mostra
della Resistenza al Palazzo Gotico di Piacenza. Partecipa al Premio Merlo
di Vigevano.
1969
Fonda, insieme con altri ex allievi e con i figli del suo maestro, il Centro
d'Arte Augusto Colombo e ne diviene presidente.
Oltre all'azione culturale esercitata in questo Centro, chiamando i nomi più
illustri a intervenire in conferenze, tavole rotonde e in altre forme, intensifica
la sua collaborazione con 96 scritti, disegni, conferenze e interventi a riviste
e giornali.
Continua a operare nella pittura a connotazione figurativa, sia con i mezzi
tradizionali sia con lo smalto, e va lentamente trasformandosi, non trascurando
nel contempo esperimenti astratteggianti.
Da questo momento, in coerenza anche con un'azione di costume che va conducendo,
decide di ridurre la partecipazione a mostre collettive e premi.
1970
Personale alla Galleria S. Jacopo di Firenze, un appuntamento di grande soddisfazione
professionale; nello stesso tempo questo rientro nel cuore della Firenze della
sua infanzia è occasione di grande gratificazione personale.
1971
Premio Brunellesco, Firenze.
1972
La sensibilità artistica di Marè sconfina oltre i territori
della pittura e si manifesta anche attraverso il gusto della parola, costruendo
architetture di emozioni lessicali.
Pubblica
presso l'editore Bino Rebellato la raccolta di poesie Foglie gialle.
1973
Personale alla Galleria La Nuova Sfera di Milano.
Inizia studi
e ricerche per una nuova espressione sulla quale sta meditando da tempo.
1974
Nella sua produzione si segnala un breve periodo chiamato degli "Ultimi idoli",
avveniristiche figure mitologiche con le quali, immaginando un mondo già
distrutto, tenta di ammonire l'uomo che va verso una folle autodistruzione.
Riprende gli studi per una nuova espressione e, dopo lunga riflessione, perviene
a un'idea-pensiero: la rappresentazione del tempo identificato nell'Istante.
Esegue un primo ciclo di opere su questo tema.
Personale alla Galleria Civica di Campione d'Italia organizzata dal Comune.
Gli viene
proposto di insegnare pittura al Centro d'Arte Augusto Colombo, incarico che
accetta perché vi ravvisa l'occasione per manifestare certe sue convinzioni
sulla didattica e sull'arte in contrapposizione con quelle allora ricorrenti.
1975
Premio S. Eligio organizzato dal Museo della Scienza e della Tecnica di Milano
con esposizione e premiazione a Vicenza.
Mostra di grafica a Brescia.
Personale alla Galleria The Judgement di Padova.
1977
Personale alla Galleria La Nuova Sfera di Milano dove presenta ufficialmente
la sua nuova pittura, con la quale tende verso un nuovo senso dell'arte che
possa essere tramite per raggiungere una convivenza pulita e veramente sociale.
Fa suo, in
certo qual modo, l'assunto platonico per cui l'uomo deve occuparsi prima di
se stesso, poi della società ("A individuo eccellente società
eccellente").
Questa pittura verrà chiamata "dell'istante".
Pubblica presso le edizioni del Sagittario Rosso L'ottava a denra, romanzo
satirico-filosofico in cui esprime il suo mondo fantastico, tanto surreale
nelle vicende quanto fortemente costruttivo nel messaggio di cui è
portatore.
1978
Personale antologica alla Galleria Comanducci di Milano.
Il professor
Michele Emmer, docente all'Istituto matematico Guido Castelnuovo dell'Università
di Roma, studioso anche delle relazioni fra arte e matematica, si interessa
alla sua opera per inserirlo in un filmato sui Solidi platonici.
1979
Personale alla Citibank di Milano.
Partecipa
alla mostra "Les Artistes d'Italie" a Parigi, conseguenza di un profondo rapporto
di consuetudine familiare oltre che professionale con Parigi.
1981
Pubblica per le edizioni Il Castello un libro sull'arte dello smalto, Lo smalto
a fuoco su metalli, primo manuale del genere in Italia.
Viene invitato
a Torino al convegno su Lo smalto - tremila anni dopo, i cui lavori vengono
aperti dalla sua relazione su Lo smalto: alchimia dell'arte.
1982
Espone a Parigi al Salon des Nations.
Viene invitato
dal Comune di Marsala alla Rassegna nazionale di pittura e premiato per la
sua attività.
Svolge una feconda attività nell'ambito del Sindacato arti visive e
intensifica i suoi rapporti con l'ambiente artistico. Tutto ciò lo
affatica molto, soprattutto a causa degli effetti negativi prodotti da un
diabete trascurato.
1983
Partecipa a una mostra alla Civica Galleria d'Arte Contemporanea di Ascoli
Piceno.
Personale al Collegio Cairoli dell'Università degli Studi di Pavia.
Personale alla Galleria Vismara di Milano, inaugurata in sua assenza a causa
di un improvviso infarto. L'inizio di un percorso che per Marè sarà
sempre più faticoso.
Si riprende lentamente dall'infarto, ma ne rimane segnato psicologicamente.
Fa molta fatica a ritrovare la voglia di lavorare.
1984
Partecipa alla mostra "Flatland" alla Galleria Il Salotto di Como, che esplora
il rapporto tra arte e matematica, in relazione soprattutto alle pluridimensionalità
spazio-temporali evocate dal romanzo di Abbott.
1985
Sue opere vengono esposte alla I Biennale internazionale d'arte contemporanea
di Milano.
Partecipa
a "L'arte in Italia 1958-1985" al Castello Aragonese di Baia Bacoli (Napoli),
a cura di Carmine Benincasa.
Personale alla Galleria Michaud di Firenze che, suo malgrado, è costretto
a seguire saltuariamente con molta fatica.
Infatti la sua salute è andata continuamente peggiorando fino alla
scoperta di un tumore al polmone proprio mentre è in corso la mostra
a Firenze.
Verrà operato nel corso dello stesso anno.
1986
L'intervento chirurgico lo lascia distrutto nel fisico e soprattutto nel morale,
e solo grazie al-l'incoraggiamento di amici ed estimatori riprende la sua
attività e tiene una mostra personale alla Galleria Radice di Lissone.
Nello stesso
anno partecipa a numerose collettive, tra cui la mostra "Esmaltes internacionales"
al Palacio Municipal de Exposiciones di La Corufia, in Spagna, I'VIII Biennale
internazionale d'arte dello smalto a Limoges in Francia e la I Biennale internazionale
dello smalto a LavaI in Canada.
1987
La ripresa continua, a tratti, con qualche disposizione a programmare il lavoro
futuro, benche Marè non riesca a vincere il suo pessimismo circa la
salute.
Prosegue
l'attività nell'ambito del Sindacato nazionale artisti come membro
del gruppo dirigente a Milano.
Collabora a "Quetzalcoatl", il giornale del sindacato.
1988 - 89
Le sue condizioni di salute migliorano progressivamente e tutto sembra avviarsi
al meglio.
Partecipa
a diverse collettive, a Milano alla Galleria Vismara, a Campobasso a "Linee
- Incontri di arti visive", con sempre maggior desiderio di riprendere il
suo amato lavoro.
Ma nel maggio '89, per una banale caduta che gli provoca la frattura di un
femore, ripiomba in una spirale tristissima di operazioni, ospedali, cure
mediche, speranze e delusioni continue, e ormai a nulla valgono le affettuose
sollecitazioni dei familiari e degli amici affinche trovi la forza di superare,
per quanto possibile, tante difficoltà.
L'impossibilità di riprendere la sua vita di artista gli procurerà
un'amarezza che lo accompagnerà sino alla fine dei suoi giorni.
1990 - 93
Partecipa alla collettiva "Ritrovamento della Croce" al Palazzo Vittorio Veneto
di Lissone.
Costretto
a essere operato più di una volta per il femore fratturato ed è
praticamente impossibilitato a muoversi.
La sua vista peggiora e ciò, oltre a essere motivo di ulteriore impedimento
al lavoro, lo costringe a un'ennesima operazIone.
Stremato dal lungo calvario fisico e psicologico, si spegne il 14 dicembre
1993.
- - -
...La mia idea-pensiero
è quella della rappresentazione del "tempo" identificandolo nell'"istante".
Partendo
dalla supposizione che il tempo sia composto, si formi, esista dalla infinita
successione di istanti, ho voluto avere la "presunzione" di rappresentare
uno di questi istanti.
Per cercare di fare questa operazione ho dovuto ricorrere all'artificio di
rendere "figurativo" l'istante che "diviene", "fermarlo", e quindi fissarlo
nel suo momento di immobilità. Da questo tentativo di rappresentare
ciò che "materialmente" non esiste, viene la necessità più
assoluta, più attenta, direi più esasperata, di attenersi a
quei canoni che fanno la pittura; ricerca di colore, spazio, equilibrio, tensione.
Ciò, ovviamente, poiché intendo la pittura in questo modo e
non mi sentirei pago del "gesto" o di imbrattare un muro o di arrovesciare
del colore a caso sulla tela.
Ho dunque tenuto presente la mia convinzione che in pittura il colore "non
esiste", bensì esistono i "rapporti", gli "accostamenti", le "quantità",
i "pesi" e il "modo di stenderlo" e che, dovendo rappresentare ciò
che nella realtà visiva non esiste, il colore dovesse essere non quello
naturalistico, ma quello proveniente dal profondo della mia coscienza.
Non posso immaginare la rappresentazione del tempo se non in un contesto cosmico
per cui il problema dello spazio, che ha sempre afflitto ogni pittore, qui
si esaspera e il tentativo di "dilatare" la misera superficie a disposizione
diventa drammatico, soprattutto non volendo ricorrere a figurazioni banali
come astri lontani ecc.
Perciò mi sono valso di ogni soccorso; dalla prospettiva cromatica
a quella di disegno e introducendo anche quella materica.
Le strutture libranti nel vuoto appoggiano però su un ideale e diverso
piano tra loro per cui si ottengono prospettive varianti e diverse che accentuano
la sensibilità dell'idea-spazio cioè lo spazio "emozionale"
che intendevo proporre.
Per gli stessi intenti il "nero" o uno scuro, per creare il "buco" e l"'uscita"
dal quadro delle strutture, prese a prestito per la rappresentazione "materiale"
dell'istante, così da "introdurvi" il fruitore per una maggiore partecipazione.
Tenendo altresì presente che l'"equilibrio", come già detto,
è un elemento indispensabile ad un'opera pittorica, da qui lo studio
di un'opportuna collocazione delle masse ed un'altrettanto opportuna scelta
dei pesi delle stesse, il tutto non in contrasto con l'armonia delle linee,
operazione di amalgamazione non facile quando specialmente si è voluto
uscire da una rappresentazione comune.
Ciò ha implicato uno scavalcamento del baricentro per poter rendere
l'equilibrio più "reale" nella "irrealtà" del contesto dell'opera.
Questo equilibrio, quindi, che sta nello spazio metafisico che deve "contenere
l'istante", cioè il "tempo", esclude la decadente simmetria speculare,
tutt'al più deve avere qualche analogia con quella intesa dai greci
che non era concepita come specularità di parti rispetto a un punto
o a un asse, ma come rispondenza di un modulo ideale che teneva conto di leggi,
di necessità fisiche e di ritmo spirituale.
Tutto ciò per arrivare, anche, alla "tensione", cioè equilibrio
che è, ma che sta per rompersi e quindi la crea col suo stato precario,
tensione specialmente indispensabile in questo tipo di opera ove, uscendo
dalla rappresentazione "comune e reale", si deve dare l'idea che tutto sia
"immobile" e tuttavia "in movimento", una "sospensione" che ci dia l'idea
di avere "fermato l'istante", ma che contemporaneamente ci sta sfuggendo poiché
nello spazio-tempo esistono infiniti "equilibri", "equilibri-attimi", necessari
e reali nel divenire del "tempo".
...Le mie opere tendono
a riportare la mente a pensieri più "umani", premessa per il ritrovamento
della coscienza, misura di se stesso e quindi della propria dignità
di uomo. Funzione di anticorpo, messaggio forse non inutile per il nostro
futuro.
Mario
Marè, 1977 |